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Italo Calvino a vent'anni dalla sua scomparsa
A vent’anni dalla morte dello scrittore sempre più necessaria una rilettura laica dei suoi capolavori

 
Silvio Perrella su IL MATTINO
 

Il 19 settembre di vent’anni fa la notizia della morte di Calvino mi colpì al punto tale da costringermi al viaggio notturno verso Siena. Arrivai all’alba e dovetti aspettare per poter entrare nella camera ardente. Quando lo vidi, avvolto in un sudario bianco, mi sembrò ancora giovane. Si capiva che la morte l’aveva colto di sorpresa, mentre era intento al suo lavoro multiplo e poliedrico, con i tanti tavoli ad aspettare che lui accumulasse fogli e immagini. Dire oggi Calvino significa nominare la letteratura. C’è forse un’esagerazione in quest’accostamento, ma sta di fatto che nessuno come lui si è tenuto fedele all’idea e alla pratica che la letteratura può dire ciò che nessun altro strumento espressivo può dire. Calvino ha lavorato molto, su più piani e su svariati versanti. Ha lavorato per sé e ha lavorato perché nascesse e si stabilizzasse una cultura italiana all’altezza della crescente complessità del mondo. Oggi si abbeverano ai suoi libri non solo i letterati, ma anche gli scienziati, i sociologi, gli architetti e i saggisti in generale. A differenza di molti altri scrittori, anche più forti espressivamente di lui, il suo nome fa capolino nei libri più disparati. Calvino ha dunque posto il problema della conoscenza attraverso gli strumenti della letteratura. Morto lui, i suoi semi hanno fruttificato non solo nella nostra lingua, varcando i confini della letteratura italiana e innestandosi nell’elaborazione di altre letterature. È dunque un’esagerazione dire: Calvino, ovvero della letteratura, ma si tratta di un’esagerazione ben fondata. A vent’anni dalla sua morte è giunto il tempo di una visione laica del suo lavoro, facendo piazza pulita sia dei calviniani sfegatati sia degli anticalviniani viscerali. In entrambi i casi si perde il piacere conoscitivo di cogliere i tanti passaggi di uno scrittore eminentemente metamorfico, con le sue riuscite e le sue cadute. Uno scrittore che ha intrecciato la sua storia personale a quella dell’Italia e che ha saputo fare esistere un coerente mondo di immagini mentali. Da Pin a Palomar c’è un arco di tentativi, di disciplina espressiva, di limpidezza linguistica e di pensiero che rendono evidente la serietà del suo lavoro. Era poco più di un ragazzo quando salì sulle montagne liguri per fare la Resistenza. Da quel momento ci fu il credere prima nella Storia e il successivo smagarsi da essa, l’allargare la sua visione al cosmo senza mai abbandonare i problemi degli individui. Senza dimenticare la combinatorietà, i suoi libri meno riusciti come Il castello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno un viaggiatore; libri affetti dal virus della virtualità. E come dimenticare il saggista, lo scrittore di lettere e il lavoro editoriale. Tutti questi aspetti sono accomunati dalla sua prosa, una delle più belle, nitide ed esatte del secondo Novecento. Una prosa conquistata con pazienza, non certo un dono naturale, una magistrale linea dritta che nasconde le scosse delle curve, il possibile perdersi della penna nel vuoto, lo sgocciolare della stilografica invano. L’ho incontrato un’unica volta, a Palermo, nel 1984, un anno prima che morisse. Lo festeggiavano per Palomar. Ricordo l’accento ligure della sua voce, un leggero balbettìo e il fascino straordinario della sua intelligenza epressiva. Allora Palomar mi aveva folgorato, costringendomi a studiarlo in ogni suo dettaglio e spingendomi verso la filologia e la variantistica. Le sue «operette morali», ricordo che definì il suo libro in quell’occasione. Oggi il Calvino di La speculazione edilizia e di La nuvola di smog è il mio preferito, ma dovrei rileggere daccapo i suoi libri. Vent’anni sono quasi la metà della mia vita, potrei dire che nei primi dieci mi sono occupato di lui con strenuo accanimento e negli altri dieci ho provato a dimenticarlo. Nell’oscillazione tra questa memoria e quest’oblìo c’è forse l’immagine di quello che io sono oggi.

17 settembre 2005