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Gianfranco Fini: Mi impegno a rilanciare l'italiano

 

   

GIANFRANCO FINI
sul
Il Corriere della Sera
 
   

Il dibattito che si è aperto sul tema della diffusione della lingua italiana all'estero è certamente utile, ma a condizione che sia correttamente impostato. Dedurre, dal fatto che la lingua italiana è stata cancellata dalle conferenze stampa di singoli Commissari, oppure dal ritardo a identificare un portavoce italiano della Commissione, la conseguenza che il nostro Paese occuperà un posto di seconda fila tra le nazioni guida dell'Unione mi sembra davvero eccessivo. Il problema naturalmente esiste.

In Europa, la prassi di tradurre tutti i comunicati stampa nelle cosiddette «lingue di lavoro» (francese, inglese e tedesco), marginalizzando l’italiano, viene da lontano e non si è attenuata nemmeno quando Prodi presiedeva la Commissione. L’allargamento dell’Unione Europea a 25 Stati membri con ben venti lingue ufficiali non ha facilitato ovviamente le cose. Su questo punto, negli ultimi anni, la nostra Rappresentanza permanente presso la Ue si è sempre battuta con fermezza ed è intervenuta, anche prima delle polemiche in corso, per richiedere una revisione di questa prassi e per sollecitare la nomina di un portavoce italiano. Va anche ricordato, in proposito, che l’italiano è oggi utilizzato su base di parità in tutte le riunioni del Consiglio grazie all’accordo sul regime linguistico raggiunto dalla Presidenza italiana nel 2003 (ogni Stato membro deve accollarsi i costi di interpretariato per la propria lingua, inclusi inglesi, francesi e tedeschi). La questione va però molto al di là di questi episodi. Riguarda, più in generale, la promozione della lingua e dell’identità italiana all’interno dell’Unione Europea e nel mondo.

Il tema non solo non è secondario, ma rientra negli obiettivi prioritari del ministero degli Affari esteri. Ho dato quindi indicazione che la prossima conferenza degli Istituti di cultura, i cui direttori saranno riuniti presso la Farnesina, abbia tra i suoi temi di fondo proprio un progetto di rilancio della nostra identità linguistica e culturale, e questo al di là dei programmi già in atto, che vedono tra l’altro oltre 6 mila corsi di lingua italiana all’estero e l’organizzazione annuale, proprio in collaborazione con l’Accademia della Crusca, di una settimana della lingua italiana con manifestazioni ed eventi per la promozione dell’italiano a cura dei nostri Istituti di cultura. Sono convinto, infatti, che in una società globalizzata, e in cui l’inglese è la lingua «universale», la varietà delle lingue, delle culture e delle tradizioni costituisca una autentica ricchezza da preservare per tutti e specialmente per un Paese come l’Italia che ha le sue principali risorse nel suo patrimonio culturale e nel suo capitale intellettuale. Le diverse identità nazionali vanno oggi considerate come il patrimonio più autentico a cui l’Europa può attingere. Il contributo italiano alla costruzione dell’identità culturale europea, lo ha osservato tra gli altri Salvatore Settis, è e deve essere in primo luogo una riflessione sulla identità e sul patrimonio culturale nazionale. Non si può pensare all’Europa se non riconducendola a una molteplicità di esperienze, di culture, di identità che ne formino una più vasta «macro identità». Mi si permetta poi un’ultima osservazione. La difesa della lingua e dell’identità italiana prescinde da ogni attitudine «nazionalista». Per quasi sei secoli, dall’età del giovane Dante fino alle soglie dell’unità politica della Nazione, è lo stesso presidente della Crusca Francesco Sabatini a osservarlo in un suo saggio, la letteratura fiorentina prima e italiana poi sono state espressione di una cultura poco legata a un contesto sociale nazionale e molto più spesso ispirata, invece, da ideali e motivi universalistici.

Uno scrittore come Thomas Stearns Eliot ci ricorda da parte sua che la visione del mondo universale di Dante e la sua ispirazione religiosa ne fanno «di gran lunga il più europeo» dei poeti del nostro continente. Ciò si deve alla caratteristica multinazionale dell’Italia e alla sua vocazione universale. L’Italia, voglio dire, è tanto più fedele alle proprie radici, quanto più è «europea» e «universale». Per questo motivo e in questo spirito bisogna difendere la nostra lingua all’interno delle istituzioni europee e promuoverla nel mondo, nella convinzione che se c’è un punto in cui il concetto di «unità nella diversità», del preambolo del Trattato costituzionale europeo, è particolarmente vero, questo è proprio quel campo culturale dove la lingua italiana non rischia certo, per i capolavori che ha prodotto nei secoli, di essere marginalizzata. Lo conferma il fatto che la domanda di italiano, lungi dall’essere in declino, è in espansione dovunque nel mondo: con pochi mezzi Istituti di cultura e Società Dante Alighieri già oggi fanno miracoli. Con più risorse e facendo sistema domani potrebbero ottenere risultati ancor più significativi e duraturi per la diffusione dell’italiano nel mondo.