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Cossiga, commenta il film di Bellocchio, "Buongiorno notte": Le Br non si accorsero di avere vinto
Giorgio del Re ha intervistato Cossiga per Sette del Corriere della Sera
 

Roberto Herlitzka nel ruolo di Moro

Del delitto Moro, del sequestro, di quello che è successo in quegli anni, ha parlato poco, pochissimo, e mai a cuor leggero. Francesco Cossiga all'epoca era ministro dell'Interno, e destinatario della lettera più dura di Aldo Moro, quella in cui dal covo brigatista lanciava la sua maledizione biblica: «Il mio sangue ricadrà su di voi».

Ma dopo il dibattito che si è aperto sul film di Marco Bellocchio, il presidente emerito ha deciso di fare un'eccezione, vedere Buongiorno, notte per «Sette», e raccontare le emozioni e le riflessioni che questa visione gli ha provocato.              È in vacanza in Sardegna (quando gli altri tornano a lavorare lui parte) in una località amena, proprio di fronte a Tavolara, accompagnato dalla sua «famiglia allargata». Le due più giovani collaboratrici del suo staff, Sabrina e Alessandra («Sono incantevoli, vero?»), gli uomini della scorta che vedono insieme a lui il film, in una cassetta della Rai. Durante la proiezione resta quasi sempre in silenzio: ogni tanto una notazione, un'immagine che ha colpito, un promemoria per quello che dirà dopo.                                                                                                                                           Si emoziona - gli occhi lucidi - quando nella tv dei brigatisti rivede le immagini dei funerali della scorta, un gesto della mano, come per fugare una nuvola di pensieri e una frase che sembra parlar d'altro: «Funerali militari...».

 E poi quando Aldo Moro-Roberto chiama i carcerieri per legger loro la sua lettera al Papa: «Sì, sì... penso proprio che il suo rapporto con loro poteva essere di questo tenore».
Una delle frasi più importanti di Giulio Andreotti sulle lettere di Moro gli provoca una piccola sorpresa («La suggerii io»), e la passeggiata finale una rivelazione: «Avevo pronta la lettera di dimissioni, la terza che ho scritto in quei terribili giorni: loro non capirono di aver vinto politicamente. Se avessero resistito per un giorno in più, nella Dc la linea della fermezza sarebbe svanita, io e Andreotti saremmo stati messi in minoranza da Fanfani e dai trattativisti».

Dulcis in fundo la conferma di quello che Andreotti ha detto al Giornale: «Sì, è tutto vero, demmo il nulla osta all'ipotesi di un riscatto pagato dalla Santa Sede: Andreotti dice che informò Berlinguer, io posso dire che ne parlai con Pecchioli e lui mi rispose: "Se la cosa uscirà fuori protesteremo, ma non verrà meno il nostro sostegno"».

 

Presidente, posso iniziare da una do­manda indiscreta e molto personale?

«Quale?».

 

È vera la leggenda che i capelli grigi le diventarono bianchi, in una notte, per l'angoscia del sequestro?

«In una notte è una leggenda. Cer­to si accelerò quel processo».

 

Che effetto le fa questo Bellocchio, venticinque anni dopo?

«Confesso, ho guardato il film con qualche prevenzione, temevo la solita ricostruzione dietrologica e priva di valore... ».

 

E invece?

«È un bel film. Lo dico anche forte della conoscenza di un vecchio ami­co, Franco Mauri, che nel 1940 scris­se da appassionato cinefilo un saggio sul realismo nel cinema sovietico».

 

Franco Mauri il suo discepolo tren­tenne?

«No, lo zio».

 

Quindi il film le piace...

«C'è del mestiere, nel senso alto del termine: l'arte senza l'artigianato non esiste. Naturalmente, si muove dalla realtà per creare un'altra storia e poi...».

 

E poi?

«Ho scoperto un'attrice straordina­ria, Maya Sansa, grande interpreta­zione: non la conoscevo. Conosco in­vece la Braghetti, che ho incontrato quando venne da me a perorare - e le credetti - la causa dell'innocenza del­la Mambro e di Fioravanti. Non mi parlò delle loro cose, forse perché sa­peva come la pensavo».

 

È vero che lei ha conosciuto tre dei carcerieri di Moro?

«Sì, sono uomini e donne, e questo rende ancora più drammatico quello che è avvenuto. Si è detto che Belloc­chio ha messo le Br sul lettino della psicanalisi: penso piuttosto che lui, da ex ragazzo maoista, abbia proiet­tato molto se stesso nel film. Le Br so­no come lui vorrebbe che fossero sta­te, e la vicenda finisce come lui avreb­be voluto che finisse. Con i brigatisti che mostrano la loro potenza nel se­questro, e alla fine del processo di umanizzazione innescato dalla vicen­da rilasciano Moro. In questo c'è più di un desiderio...».

 

Ovvero?

«Credo che Bellocchio sia più figlio del '68 che del '77. La critica che gli faccio è di non rendere fino in fondo la drammaticità dell'evento. Ma lo fa per un motivo preciso: il '68 fu fonda­mentalmente un movimento di ribel­lione borghese, di cui non a caso i due leader principali erano Marcuse, che non trovò nulla di sconveniente nel fare uno studio sul movimento per conto della Cia, e un uomo come Adorno, che aveva ucciso la mo­glie...».

 

Quindi secondo lei Bellocchio so­vrappone date età diverse?

«Ma certo. Non capisce che il '77 e il brigatismo, invece, furono una ri­voluzione, velleitaria forse, ma nata da radici storiche, sociali e culturali ben più profonde: era il vero frutto della guerra fredda, erano i nipotini di Yalta, come dimostra bene la sequenza del canto partigiano alla com­memorazione del padre della terrori­sta. Le loro radici erano nel mito del­la Resistenza tradita, la terza Resi­stenza che sognava la lotta di classe, e fu soppiantata dalla guerra di Libera­zione e dalla guerra partigiana».

 

C'è anche il comizio di Lama, però, in cui i brigatisti sono contrapposti ai partigiani, dal Pci...

«Era un modo per difendere la si­nistra dal coinvolgimento. Anche noi abbiamo usato le armi della manipo­lazione politica per mantenere con­senso: e a questo fine era più facile chiamarli assassini che rivoluzionari. Oggi in fondo le cose sono molto più grossolane: Berlusconi è un Duce e i comunisti mangiano i bambini...».

 

Non è che si sta ricredendo sulla fer­mezza?

«No! Io resto fermo, nonostante l'Unità, che allora fu colonna della fermezza e che ora, come scrive Fran­cesco Merlo, inspiegabilmente diven­ta trattativista!».

 

Battutaccia...

«No, verità. Quell'articolo mi ha colpito: non condivido solo la parte sulla Faranda, perché non credo che debba tacere, non credo alla danna­zione dei colpevoli. Morucci e Faran­da hanno passato un travaglio auten­tico che io conosco. E poi ci sarebbe­ro molti altri in Italia, allora, che avrebbero dovuto tacere. I Ds...».

 

Si prepara un'altra stilettata delle sue?

«...Avendo letto il bel libro di Piero Fassino mi rendo conto che gli ex co­munisti sono ormai preda di un revi­sionismo così profondo che presto cancelleranno Berlinguer: per questo non hanno difficoltà a cancellare la fermezza. E non è nemmeno un caso che oggi i Ds si incontrino con Prodi, trattativista di ieri».

 

Ahi, ahi, quando lei cita quel no­me...

«No, perché? Anzi, le dico che una caduta di stile il film ce l'ha quando racconta la seduta spiritica in cui c'e­ra Prodi, e in cui Bellocchio mette un agente dei servizi, che se tale fosse stato, non sarebbe andato in divisa da colonnello! Prodi...».

 

Sempre a lui ritorna...

«Solo per dire che è prova della sua forza il fatto che per quell'episodio egli non fu mai interrogato da nessu­na commissione e nessun magistrato: e dire che fu lui a passare questa no­tizia a Cavina, che poi la disse al mio capo-gabinetto, Zanda».

 

Le Br: perché lei dice che il film spie­ga la loro sconfitta?

«Perché non si accorsero di avere vinto: ma la parola fine alla solida­rietà nazionale la scrissero loro. È la non compiutezza della solidarietà na­zionale che impedisce il vero bipola­rismo e che porta ancora oggi a una visione della politica come lotta tra bene e male».

 

Quindi le Br non capirono di essere a un passo dalla vittoria finale?

«Sì, e l'avrebbero avuta perché io e Andreotti saremmo finiti in minoran­za. Poi non hanno capito che Moro li­bero avrebbe avuto effetti altrettanto dirompenti: io sono stato costretto a raccontare che Pecchioli venne da me a dire, dopo la lettera che mi mandò: "Per noi è politicamente morto". Mal­grado ciò, noi li abbiamo sconfitti militarmente».

 

E il dibattito sul fatto che forse i bri­gatisti si potevano prendere?

«All'epoca del sequestro i servizi erano quasi smantellati: solo dopo appresi che qualcuno aveva contatti con le Br...».

 

Signorile?

«...Una parte del Psi. Se loro ce lo avessero detto, forse saremmo arriva­ti a Moro vivo».

 

E il fatto che ci fosse un pezzo di Sta­to che lavorava contro la liberazione? «Fesserie».

 

E l'influenza della P2?

«No... Vada da Licio Gelli e gli chieda cosa pensava di Moro».

 

È vero che quella frase sulle lettere di Moro, «moralmente inautentiche», la scrisse lei e la disse Andreotti?

«Sì: allora gli psichiatri del ministe­ro avevano questa tesi, Scoppola lo pensa tuttora...».

 

E lei?

«Mi sono convinto di avere sbaglia­to. Quello era davvero Moro. Tentò fi­no all'ultimo di trattare con le Br, ave­va capito fino in fondo il fatto che le Br erano un soggetto politico, e pun­tavano a un riconoscimento. Io non avevo capito fino in fondo che loro erano l'album di famiglia della sini­stra, lui sì. Non dimentichiamo che solo Giampaolo Pansa ebbe il fegato di andare ai cancelli della Fiat e scri­vere in un pezzo che a molti operai non gliene fregava nulla di Moro».

Per questo l'idea brigatista della «propaganda armata» aveva spazio?

«Senza il Pci e senza la fermezza sarebbe passata senz'altro».

 

E cercare di salvarsi per Moro fu vi­gliaccheria, come pensarono molti?

«No. Io ho riletto le sue lettere infi­nite volte e ho capito la nostra diver­sità. Io ero un cattolico liberale e met­tevo sopra tutto lo Stato. Lui era un cattolico sociale, e per lui la vita di suo nipote valeva più di ogni altra co­sa. Andreotti aveva l'etica politica del­la Chiesa, che mai e poi mai avrebbe accettato la malvagità dell'atto violen­to».

 

Ma lei mi ha detto che era disposto a pagare!

«Pagare sì: mi dissero che avevano già trovato i soldi, ma era quasi una forma di disprezzo: il canale di con­tatto veniva dai cappellani carcerari e dalle confessioni, per questo è rima­sto segreto. Ma riconoscere no».

 

Eppure lei pensa che la trattativa non poteva riuscire?

«Oggi so che le Br non avrebbero mai accettato un riscatto».