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Il sangue dei vinti

di Gianpaolo Pansa

Edizione Sperling & Kupfer

Pagine 390

Prezzo Euro 17,00

 


 

 
 

Che cosa accade quando finisce una guerra civile? Dopo il grande successo de "I figli dell'Aquila", Giampaolo Pansa s'inoltra su un terreno ben poco battuto: la resa dei conti imposta ai fascisti sconfitti. Un tema proibito, per gran parte della storiografia dei vincitori. Con "Il sangue dei vinti" l'autore decide di affrontarlo come nessuno, sinora, aveva fatto. Aiutato da una vastissima documentazione, ricostruisce nei dettagli decine di eccidi e centinaia di omicidi, compiuti per punizione, per vendetta, per fanatismo politico e per odio di classe. Il teatro di questo bagno di sangue è l'Italia del nord, dal 25 aprile 1945 alla fine del 1946 e, in qualche caso, anche più in là nel tempo. Il risultato è un drammatico diario di viaggio dentro l'alba della nostra libertà, quella libertà che il fascismo aveva soffocato nel 1922, preparando la propria rovina di ventitré anni dopo. Pansa svela vicende prima d'ora ignorate e descrive la fine di migliaia di italiani che, pur avendo scelto di combattere l'ultima battaglia di Mussolini, non erano tutti criminali di guerra da punire con la morte. Da Milano ad altre aree della Lombardia, da Torino a Vercelli, Novara e Cuneo, da Genova e dalla Ligura al Veneto, dalla Romagna all'Emilia, passando per le terre del 'triangolo della morte' - Bologna, Modena e Reggio -, l'inchiesta si snoda all'interno di una seconda guerra civile iniziata dopo la liberazione del paese. E' un racconto terribile e spietato, dove a prevalere è la brutalità del castigo inflitto a chi era schierato con la Repubblica sociale italiana. Per molti la morte arriva dopo una via crucis di umiliazioni, violenze, torture e stupri. E si incrocia con l'eliminazione preventiva di quanti avrebbero potuto opporsi alla vittoria del comunismo in Italia: i borghesi ricchi, gli agrari, i preti, i democristiani. "Il sangue dei vinti" è un libro sconvolgente. Il lettore vi troverà le storie di tantissimi italiani incappati nella sorte che sempre tocca agli sconfitti: dai gerarchi del fascismo, come Pavolini, Starace, Farinacci, Mezzasoma, Buffarini Guidi, Solaro, Vezzalini, Morsero, sino a una folla di donne e uomini qualunque, vite anonime anch'esse straziate. Le loro figure riemergono da queste pagine come fantasmi ancora in attesa di una dignitosa sepoltura. Dopo aver scritto molto sulla Resistenza e sui partigiani, Pansa squarcia la cortina di silenzio sull'altra faccia della guerra che divise in due l'Italia. E ci offre una nuova testimonianza della sua onestà di narratore, capace di osservare con sguardo limpido anche le vicende e le figure di un campo che non è mai stato il suo.


 "Il sangue dei vinti"  Dal capitolo I cento fucilati sul Piave
 
La domenica ci accolse con un sole freddo e un altissimo cielo azzurro. Salimmo in auto e Livia assegnò i compiti: "Lei guiderà, io le indicherò la strada". Ci avviammo tranquilli lungo la strada provinciale che per Ormelle, San Polo di Piave e Tezze conduce al centro di Ponte della Priùla, una frazione di Susegana.

"Fra il 29 e il 30 aprile", cominciò Livia, "il Tribunale di guerra lavorò a un ritmo forsennato, condannando a morte decine e decine di militi della Gnr, una dozzina di brigatisti, qualche marò della X Mas e altri fascisti. In seguito, non si riuscì mai a rintracciare i verbali di questi processi. I partigiani dichiararono che erano andati distrutti in un incendio doloso o che qualcuno li aveva sottratti".

"C'è, invece, chi pensa che nessuno abbia mai redatto quei verbali e che i processi siano stati soltanto un susseguirsi di condanne a morte indiscriminate. è un'ipotesi verosimile, visto il numero dei militari giudicati: almeno 100, in neppure due giornate piene".

"Nel pomeriggio del 30 aprile, i condannati a morte furono schierati nel grande cortile di Brandolini. Il gruppo più numeroso era quello dei legionari del "Bologna", seguiti dai militi del "Romagna", provenienti da Codognè. A tutti vennero sottratti i documenti personali, il denaro, gli oggetti di valore. A tutti furono legate le mani dietro la schiena. A tutti venne detto che stavano per essere trasferiti dal Brandolini a un campo di concentramento".
"Era una giornata fredda, di pioggia quasi continua. Nel cortile del collegio regnava una confusione terribile. C'erano partigiani che sparavano in aria. E altri che gridavano: "A morte i fascisti!". I destinati all'esecuzione salirono a più di 100 quando, dalle carceri cittadine, arrivarono altri 24 prigionieri. A guidare l'intera operazione era un partigiano chiamato "Bozambo", appena sceso dal Cansiglio e nominato vicecapo della polizia di Oderzo.
Secondo Maistrello, "Bozambo svolse funzioni di coordinatore indiscusso e di spietato esecutore". E sempre "in un clima di confusione e di disorganizzazione, causato dal frenetico incalzare degli avvenimenti"". "Il caos era tale", continuò Livia, "che al momento di partire ci si accorse che sugli unici mezzi a disposizione, un grosso camion per il trasporto del bestiame e un'ambulanza, non c'era posto per tutti. Così, parecchi dei condannati rimasero al Brandolini e si salvarono, a cominciare da una ventina di militi del "Romagna".

Nessuno controllò gli elenchi nominativi che erano stati preparati. E nessuno cercò un riscontro tra i famosi verbali e i prigionieri fatti salire sugli automezzi". "A che ora la colonna dei condannati partì dal Brandolini?". "Non lo so, ma doveva essere già sera. Il corteo, sorvegliato da una decina di partigiani armati di mitragliatori e di una mitragliatrice pesante, impiegò quasi due ore a raggiungere il luogo dove adesso stiamo andando", spiegò Livia.

"Quando arrivò al paese di Ponte della Priùla, era già buio. I veicoli non si diressero in centro, ma deviarono verso una zona deserta, un grande prato davanti al primo argine del Piave". "Qui i condannati vennero fatti scendere a gruppi di 10. Schierati con le spalle all'argine, furono giustiziati dai partigiani di scorta, non so se a raffiche di mitra o usando l'arma pesante. è dura da immaginare questa scena interminabile: il buio, le grida, i pianti, il crepitare delle armi, l'eccitazione dei giustizieri, il sangue.

Bozambo s'incarico di sparare il colpo di grazia a chi era rimasto in vita". "Non so quanto tempo sia durata l'esecuzione. Alla fine, i giustiziati risultarono 100: 49 del "Bologna", 15 del "Romagna", 12 della Brigata nera, 4 della X Mas e 20 di reparti diversi o non identificati"

"Dopo un po' Livia mi chiese: "A cosa sta pensando?". "A quel prato e a tutti quei morti. Ne ho visti tanti di cadaveri, quando facevo l'inviato e mi spedivano sui disastri. Ma qui, su quel prato, è una faccenda diversa, Cento uomini da uccidere in blocco. E cento cadaveri in fila, coperti di sangue, i corpi e i volti straziati dalle pallottole". Livia m'interruppe: "I tedeschi e i fascisti insieme hanno fatto stragi più grandi. Non devo essere io a ricordarlo a lei. Soltanto dalle sue parti, alla Benedicta, nell'aprile del 1944 vennero fucilati 140 partigiani, se non sbaglio". "Non sbaglia", le replicai.

"Della Benedicta ho scritto quando lei non era ancora nata. Ma adesso mi sto occupando dei morti fascisti, a guerra finita. E quei cento cadaveri mi sembrano uno spettacolo disumano, per me insopportabile".