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Ground Zero rinasce con Verdi. Tremila spettatori al grande concerto del maestro Muti, del coro della Filarmonica della Scala e dei Musicians of Europe United sulle macerie delle Torri.  
 Prima l'applauso di 2.800 americani tutti in piedi all'Avery Fisher Hall, poi il silenzio commosso a Ground Zero nel buio della notte davanti al nulla che resta delle Torri Gemelle. Così la Grande Mela ha accolto l'arrivo delMaestro Muti,del coro della Filarmonica della Scala e dei Musicians of Europe United,95 professori d'orchestra in rappresentanza di 11 Paesi europei e della New York Philharmonic Orchestra.I pensieri di pace si rincorrono. Si rincorrono al Lincoln Center, il 'salotto' ufficiale newyorkese affollato da quasi 3mila spettatori ai quali il Festival di Ravenna ha voluto offrire un concerto gratuito con musiche di Beethoven (la celebre Terza sinfonia), Verdi (il coro Va' pensiero) e il furore musicale di Tutto cangia, il ciel s'abbella dal Guglielmo Tell di Rossini. Ad affollare la sala - quella stessa che confina con la Metropolitan House - sono uomini e donne elegantissimi. Tra loro anche il presidente della Pirelli - sponsor del concerto - Provera in compagnia della moglie Afef, il presidente della Rai Baldassarre, il presidente dell'Inter Moratti, il sindaco di Milano Albertini, l'assessore alla cultura milanese Carrubba, il governatore dello Stato di New York Pataki, il comandante dei vigili e della polizia newyorkesi Nigro e Hanna. Manca però Oriana Fallaci, in rappresentanza della 'rabbia' e dell''orgoglio' americani.

Dopo essersi esibito all'Avery Fisher Hall - sorta sulle macerie del West side, il lato occidentale di Manhattan cantato da Leonard Bernstein come una zona dal coltello facile - Muti si reca nel luogo simbolo della Mela malata, il cimitero all'aria aperta del World Trade Center. Qui si materializza la potenza del male. Laddove si impennavano tra le nuvole le due torri alte 1.350 piedi (419,7 metri), Muti e il coro della Filarmonica eseguono il Va' pensiero a cappella, senza l'accompagnamento dell'orchestra. A impressionare è il silenzio tombale che regna sulla vastissima area. Se infatti Manhattan è un'orgia per la vista, l'udito (plauso alle automobili che sfecciano senza fare rumore), il tatto, l'olfatto e gusto, ai piedi del campo 'santo' della New York ferita non c'è spazio per le parole, se non quelle di Solera musicate da Verdi. Qui - citando un celebre titolo di un quotidiano newyorkese - "the party is over", e cioè "la festa è finita". Non resta che chiudere gli occhi  e immergersi in quel silenzio battesimale che è Ground Zero. Come fa Cristina Muti Mazzavillani presidente del Ravenna Festival che, alle grate che delimitano l'immensa buca, non manca di lasciare una rosa.

Muti ringrazia l'America per l'accoglienza affettuosissima: "Siamo venuti a New York non solo per rendere omaggio alle vittime delle Torri Gemelle, ma per far pensare. E' stato un concerto per le vittime e per tutti coloro che lo possono diventare ". L'ultimo flash del maestro è per "la tonalità di Do maggiore di Tutto cangia, il ciel s'abbella dal Guglielmo Tell di Rossini" con cui si è concluso il concerto all'Avery Fisher Hall presso il Lincoln Center.

"Il Do maggiore è una tonalità purissima, senza accidenti  o alterazioni in chiave". E' la libertà senza macchia, invocata dalla potenza della musica rossiniana. Quella stessa libertà dalla tirannia diventata un pensiero costante degli americani, e non solo. Per questo, davanti al pubblico americano del Lincoln Center Muti - lapidario - dice queste parole: "Questo è il messaggio della nostra civiltà: il grido di libertà contro il terrorismo, la violenza e la tirannia'". 
Riccardo Muti e il Ravenna Festival non sono volati sulle macerie delle Torri per ricevere gli applausi calorosi del pubblico americano. Non solo. Sono volati a nome di tutti, dell'Europa. Non è un caso che il programma della serata abbia presentato 3 grida diverse di libertà, tutte provenienti dal Vecchio continente: quello di Beethoven autore dell'Eroica, quello di Verdi del Va' pensiero e quello di Rossini del Guglielmo Tell.Una ragione pare di vederla. E cioè che, parlando di libertà in Europa, non si possa fare a meno che rivolgere il pensiero agli Stati Uniti d'America, quasi ne fossero i garanti primi e ultimi.

Se infatti le Torri crollano, crolla anche il senso di sicurezza dell'Europa e le persone hanno paura. E' un dato di fatto, su cui non pare ci sia tanto da discutere. Ma a suffragare tutto questo - o perlomeno a farne memoria - c'è la Statua della libertà, in inglese "Statue of Liberty Enlightening the World" e cioè "Statua della libertà che illumina il mondo". Sul basamento dell'enorme figura femminile sta scritto: "Date a me i vostri poveri, gli affaticati, le masse che anelano alla libertà". L'America, insomma, si dichiara garante dei diritti di libertà e uguaglianza.

Per questo non stupiscono le parole di Muti dal podio del Lincoln Center. Lapidario, dice: "Questo è il messaggio della nostra civiltà: il grido di libertà contro il terrorismo, la violenza e la tirannia". Vi si riflette qualcosa di più che lo stato d'animo del momento. Vi si riflette l'idea che l'America sia la scala per la libertà. Se crolla qualche gradino, è la fine, l'inizio del tunnel.

Ecco perchè dopo viaggi importanti come Beirut, Sarajevo o Erevan, il Ravenna Festival non poteva che volare quest'anno a New York. Perchè in quello sbrego profondo decine e decine di metri - queste sono le misure delle fondamente messe a nudo dal crollo delle Torri - c'è la paura che l'Occidente degli Stati Uniti e dei valori che rappresenta possa andare a rotoli. Per colpa - e a vedere i grattacieli newyorkesi viene da domandarsi come sia stato possibile - di qualcuno che vorrebbere ridurre la nostra civiltà in mille pezzetti. Con pene e dolori per tutti.